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Le Gallerie delle Prigioni

La sede espositiva della Fondazione Imago Mundi

Le Gallerie delle Prigioni, situate a Treviso in Piazza Duomo 20, sono la sede espositiva della Fondazione Imago Mundi che promuove, in un’ottica internazionale, la ricerca, la produzione e la divulgazione dell’arte contemporanea, organizzando mostre d’arte contemporanea, talk, eventi e laboratori didattici online e offline.

Ex carceri asburgiche ottocentesche, le Gallerie delle Prigioni sono state aperte al pubblico nel 2018 a seguito del restauro realizzato dall’architetto Tobia Scarpa, durato alcuni anni e che è stato impostato su un attento lavoro di recupero che ha permesso di dare vita allo spazio espositivo mantenendo viva l’identità precedente.

L’INGRESSO

Il nuovo accesso delle Gallerie delle Prigioni, autonomo da altri passaggi, si apre sulla piazza antistante al Duomo, su cui in origine l’edificio non aveva sbocchi. In questa piazzetta è presente la lista dei paesi e delle comunità che compongono l’insieme di Imago Mundi, incisi su lame di bronzo inserite in una panca di cemento. Una volta entrati nell’area di proprietà si attraversa un corridoio all’aperto illuminato da 5 lampade su basamento in marmo e si arriva nella seconda piazzetta, accedendo poi alle Gallerie delle Prigioni.

Storia dell’edificio delle Gallerie delle Prigioni

UN NUOVO CARCERE

Le ex prigioni asburgiche non sono state il primo luogo di detenzione di Treviso. Le antiche carceri cittadine, in effetti, sorgevano fin dall’epoca medioevale in quella che è oggi Piazza San Vito, e vi rimasero per secoli. Fu solo un incendio, nel 1756, a determinarne la dismissione. I danni subiti dalle carceri furono infatti di una gravità tale che le autorità competenti non ritennero conveniente provvedere alla loro riparazione, specie nel contesto di grave decadenza politica ed economica che in quei decenni viveva la Serenissima Repubblica. La realizzazione delle nuove carceri dovette dunque attendere decenni e fu solo attorno al 1830 che le autorità giunsero ad una decisione effettiva sulla loro collocazione e costruzione. Le prigioni sarebbero sorte, assieme al nuovo tribunale, nella zona antistante al Duomo, dove l’edificio si colloca oggi. A dar corso alla loro esecuzione – liquidata la Serenissima e superata l’epopea napoleonica – sarà infine l’Amministrazione del Regno Lombardo-Veneto.

LA COSTRUZIONE OTTOCENTESCA

Non è casuale, in effetti, che si debba proprio all’Amministrazione asburgica – insediatasi solo da pochi anni – il riavvio del progetto delle nuove prigioni. In quegli anni, infatti, il Regno Lombardo–Veneto aveva l’evidente esigenza di dare rappresentazione al proprio neocostituito potere. Col supporto di un’organizzazione burocratica piuttosto efficiente, si diede così impulso nei territori amministrati alla realizzazione di opere pubbliche che rispondevano ai criteri di innovazione e razionalizzazione propri della temperie culturale ottocentesca. Si pensi, ad esempio, alla realizzazione delle strade ferrate, ai numerosi interventi di riqualificazione urbana o all’installazione in molte città degli impianti di illuminazione pubblica a gas (quella di Piazza dei Signori avviene nel 1846). Inoltre, in un contesto politico progressivamente caratterizzato dai moti rivoluzionari ottocenteschi, vi era la necessità di esercitare un capillare controllo politico-repressivo. Di qui, l’opportunità che anche nell’amministrazione della Giustizia fosse manifesta la presenza del nuovo potere. Le carceri, infatti, ospitarono anche dissidenti politici, a cui erano destinate le celle di rigore. È dunque in questo contesto che si colloca la costruzione delle nuove carceri e del tribunale, concepiti in modo unitario e razionale “essendoché le prigioni per massima non devono essere discoste dalle magistrature giudiziarie”.

NEL CUORE DELLA CITTA’ DI TREVISO

Il luogo più idoneo ad ospitare quella che è stata definita la “maggiore opera di trasformazione urbana condotta dal regime austriaco nella città” viene individuato nel pieno centro di Treviso, e quindi nell’area antistante il Duomo, percorsa su un lato dal canale della Roggia. In effetti, come motiva sul punto l’imperial regia direzione delle pubbliche costruzioni: “mentre l’ubicazione del tribunale resterebbe a portata della pubblica piazza in luogo centrico e decoroso della città, le carceri sarebbero fuori dalla esterna comunicazione, aggirate e segregate da un vasto e segregato cortile, vicino ad un canale di acqua corrente, così necessaria per la nettezza di un tale stabilimento”.
Lo stesso luogo aveva ospitato in precedenza altri due edifici di rilevanza politica e civile. Il primo è il “grandioso palazzo” di Ezzelino il Balbo, della signoria da Romano, abbattuto a furia di popolo quando la famiglia fu spodestata, nel 1260. Successivamente, il Fondaco delle Biade, o Fondaco delle Farine: un magazzino pubblico per cereali che aveva anche la funzione di regolarne i prezzi di vendita a beneficio dei poveri. Cinque secoli dopo, l’amministrazione lombardo-veneta ne ordina la demolizione, in quello spirito di rinnovamento che si coglie anche in alcune ricostruzioni di poco successive.
“Chi preferirebbe gli avanzi rovinosi e svisati del vecchio fondaco delle biade, eretto da Andrea della Rocca d’Assisi al tempo della carestia per lo straripamento del Piave del 1317, sopra le rovine della casa degli Ezzelini, all’attuale Tribunale?”

UN PROGETTO DOPPIO: REGOLARITÀ, SEMPLICITÀ E ROBUSTEZZA

Il progetto viene affidato all’ingegnere Francesco Mantovani, che morirà prima dell’inizio dei lavori avviati nel 1835. Vi prese parte anche il “regio ingegnere” veneziano Carlo Ghega: un innovatore di grande prestigio a cui si devono la realizzazione delle strade e dei tratti ferroviari sulle Alpi. La sua opera più famosa è la ferrovia del Semmering, in Austria, dichiarata patrimonio UNESCO. Le carceri vengono quindi edificate su tre piani, ciascuno percorso da un corridoio. Tra i locali previsti ci sono la casa del custode, le stanze per il medico e le infermerie, i luoghi per il bagno, un locale apposito per gli “arrestati per debiti civili”, stanze disciplinari e naturalmente “20 locali per le carceri criminali”. A differenza del tribunale, caratterizzato da uno stile neoclassico di evidente impatto estetico, per quanto trattenuto, le carceri sono state realizzate secondo criteri di semplicità e funzionalità: il materiale utilizzato è solido e l’impostazione spaziale dell’edificio quella tipica degli istituti di pena dell’epoca. Ciononostante, la resa finale appare comunque significativa: nelle parole del Bellieni, nell’edificio “robustezza e severità sono simbolizzati da una più estesa presenza di parti bugnate, e soprattutto dall’inquietante portale, fiancheggiato da colonne doriche reggenti una ‘pesante’ pietra architrave, chiaro richiamo ai modi di certa architettura radicale francese del Settecento”.

IN FUNZIONE PER UN SECOLO (1850 – 1950)

I dettagliati resoconti sullo svolgimento dei lavori ne evidenziano chiaramente la complessità e i costi ingenti, dovuti in gran parte ai problemi causati dal fondo ghiaioso e cedevole. Prima del 1850, comunque, le nuove carceri entrano in funzione, e lo rimasero fino a dopo la seconda guerra mondiale, finché il carcere fu trasferito a Santa Bona. Le vecchie carceri asburgiche vennero da quel momento usate come archivio del tribunale e ne conservarono i fascicoli fino all’inizio dei lavori di restauro. Prima del restauro, l’edificio si trovava in grave stato di degrado, causato da anni di abbandono ed incuria. Erano evidenti la marcescenza delle strutture lignee del tetto, la rottura degli elementi di copertura e le infiltrazioni d’acqua iniziate al momento dell’abbandono e poi continuate. Inoltre, distacchi degli intonaci, macchie causate dall’ossidazione delle grate e degli elementi metallici, fessurazioni degli elementi lapidei erano presenti su gran parte dei prospetti esterni. Il lato prospiciente il canale della Roggia era in condizione di conservazione ancora peggiore, a causa della presenza del vicino corso d’acqua.

L’edificio delle ex carceri è vincolato ai sensi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio sia sotto l’aspetto monumentale che sotto il profilo paesaggistico. L’edificio è stato acquisito da Edizione Srl nel 2013. Il progetto di restauro e di adeguamento funzionale è stato affidato a Tobia Scarpa, andando così ad aggiungersi ai vari altri incarichi affidatigli da Benetton Group, tra i più recenti dei quali vi è il restauro della Chiesa di San Teonisto, inaugurata alla fine del 2017. Il progetto di restauro, di tipo conservativo, ha preso avvio dalla necessità di consolidare e ripristinare tutti gli elementi dell’edificio, eliminando quelli impropri ed estranei all’organismo edilizio originario. Sin dall’inizio dei lavori, il restauro ha tenuto conto della nuova destinazione museale da dare agli spazi per garantire una qualità dell’ambiente adatta ad esporre opere d’arte e ospitare eventi culturali. Diventava inoltre necessario rendere il percorso facilmente fruibile. Nella prospettiva di un uso espositivo-museale, quindi, l’ostacolo principale era rappresentato dalla conformazione e dalla dimensione degli accessi originari alle singole celle: il traverso delle porte, impostato molto basso, obbligava a suo tempo i prigionieri ad un inchino forzato. Questo avrebbe costretto oggi il visitatore a piegare la testa ad ogni passaggio. In accordo con la competente Soprintendenza, quindi, si è ideata una soluzione ad hoc: sono stati aperti nuovi varchi, con altezza e larghezza adeguate, creando così un percorso parallelo al corridoio, sia al piano terra che al piano primo.

Contestualmente è stato realizzato anche il condizionamento di tutto l’edificio, approfittando dei nuovi varchi nei quali sono state inserite adeguate soluzioni tecnologiche per il riscaldamento e il raffrescamento. Contemporaneamente all’apertura dei nuovi varchi si è provveduto a realizzare percorsi verticali e orizzontali con un numero di uscite sufficienti a garantire il rispetto della normativa sulla sicurezza: in questo contesto è da sottolineare la presenza di un ascensore, per risolvere i problemi delle persone con disabilità, e della nuova scala parallela a quella esistente.

Si è voluto, per quanto possibile, salvare le pitture esistenti, che sono state restaurate. In particolare, oltre alle numerose scritte che indicavano il numero della cella o la funzione degli ambienti (infermeria, celle punizioni, e molte altre) si possono ora apprezzare, al secondo piano, la raffigurazione di Cristo conservatasi per la parte superiore e, sul muro opposto dello stesso piano, una raffigurazione della Madonna. Anche nello “studio medico”, sempre al secondo piano, è ben visibile un affresco con stemma araldico della città di Treviso.

Ricerca e testi a cura di Chiara Longhi per architetto Tobia Scarpa